La neve
La lunga e ghiacciata distesa che d'inverno ricopre
il territorio canadese. Per Gilles fu facile adattarsi a quell'elemento comune a
tutti i ragazzini del Paese nordamericano. Le corse con le motoslitte per lui
erano un'abitudine e una tradizione. Gilles si fece un gran nome in quella
disciplina. Vinse parecchio e probabilmente il controllo che imparò a esercitare
su quei mezzi, che si dovevano domare in acrobazia, gli servì quando debuttò
nell'automobilismo.
Gilles era un pilota irruente, non lasciava mai nulla al caso, attaccava dal
primo all'ultimo giro pur di conquistare la vittoria. Non fu difficile
accorgersi che Villeneuve aveva un grande talento naturale che bisognava
sfruttare. Ed è per questo che, dopo una breve esperienza nel Campionato europeo
di Formula 2, nel 1977 Villeneuve fu invitato a prendere parte alla sua
prima corsa iridata di Formula 1, il Gran Premio d'Inghilterra. A dispetto di
ciò che narrano le cronache del tempo, il pilota canadese non si presentò in
Europa imberbe. Gilles aveva già ventisette anni e una solida esperienza
agonistica maturata in Nordamerica.
Fu abilissimo nel nascondere la sua vera età.
"Quando ci sposammo - ricorda sua moglie
Joanna - io ero più giovane di lui. Quando debuttò in
Formula 1 aveva la mia età, quando fu assunto dalla Ferrari ero decisamente più
vecchia".
Quel Gran Premio di Silverstone rappresentò un biglietto da visita molto
promettente. Pur con una McLaren Cosworth non eccelsa Villeneuve fu capace di
una prestazione esaltante. Quando a Maranello si trattò di sostituire Niki
Lauda, il cui rapporto con la Ferrari si era deteriorato, la scelta cadde su
di lui tra lo scetticismo generale. Enzo Ferrari aveva fiducia in
quell'uomo con il volto dell'eterno ragazzo, che non parlava una parola di
italiano e si esprimeva nel francese incomprensibile del Quebec. Gilles fu
sbattuto sulla Ferrari e il giorno dell'esordio, al Gran Premio dei Canada del
1977, dimostrò che quel pochi giri effettuati a Fiorano non erano bastati per
assicurargli la necessaria confidenza con la monoposto.
Il debutto di Villeneuve con il Cavallino fu un mezzo disastro e nella corsa
successiva, il Gran Premio del Giappone, il canadese fu al centro di grosse
polemiche. La sua Ferrari volò sulla Tyrrell di Ronnie Peterson, andando a
ricadere sulla folla. Ci furono dei morti, Gilles uscì dall'abitacolo senza
ferite.
Era chiaro a quel punto che il ragazzo aveva bisogno di crescere, di gestire la
sua irruenza, di iniziare a controllarsi. Villeneuve trascorse l'inverno
provando e riprovando, diviso tra Fiorano e Vallelunga, e nel 1978 dimostrò che
quei chilometri erano serviti per farlo maturare. Sbagliò ancora tantissimo ma,
a poco a poco, divenne un abbonato fisso alle prime file degli schieramenti.
La Ferrari era una buona vettura, non la migliore ma sufficiente per ben
figurare. Fu al Gran Premio del Canada, a un anno esatto dal suo debutto con il
Cavallino, che Villeneuve ottenne la prima affermazione della sua carriera nel
Campionato mondiale.
La gente sapeva pochissimo o quasi nulla del suo misterioso passato, ma l'aveva
già eletto a proprio idolo. A Fiorano, Gilles si divertiva a dare spettacolo, a
caracollare in mezzo alla pista sia per conquistarsi la simpatia degli
appassionati sia per ringraziarli della loro presenza.
Nasce il mito
Erano gli albori di un mito. Nel 1979, Gilles,
finalmente al volante di una Ferrari vincente (la Ferrari 312 T4), fu con Jody
Scheckter il grande protagonista del Campionato. Portò alla vittoria la vettura
numero 12 in Sudafrica, a Long Beach, a Watkins Glen e partì in prima fila in
tre occasioni. Più che per le affermazioni Gilles restò ben impresso nella mente
di tutti per le sue imprese, al limite tra funambolismo e pazzia: a Zandvoort,
nel Gran Premio d'Olanda, percorse un giro di pista sul cerchione posteriore nel
tentativo di rientrare ai box per sostituire una gomma afflosciata; a Digione,
lottò ruota contro ruota con la Renault di René Arnoux; a Monza assecondò
il trionfo del compagno di scuderia Jody Scheckter che significava il titolo
mondiale per il sudafricano. Fu una corsa memorabile: Gilles era nettamente più
veloce di ogni altro pilota in pista, ma non fece mai nulla per disturbare il
proprio compagno di squadra; si era assoggettato di buon grado agli ordini di
scuderia.
Villeneuve era un idolo vicino alla gente: era il campione veloce, generoso, che
amava vivere lontano dai grandi alberghi, preferendo la tranquillità del suo
motorhome. Il suo linguaggio era la sfida. Ogni frenata al limite portava un
messaggio per i tifosi, ogni derapata era un saluto. Ma Gilles non era un
semplice scavezzacollo. Vero, sbagliava molto, ma per troppa generosità.
Nel 1981, il canadese ottenne due trionfi storici a Montecarlo e in
Spagna con la prima Ferrari sovralimentata. A Jarama riuscì a concludere la
corsa bloccando le mosse di ben quattro monoposto che lo avevano rimontato.
Quel titolo mai arrivato.
Gli mancava soltanto il titolo mondiale ed era un
cruccio. Nel 1982 la Ferrari pareva essere in grado di offrirgli una vettura
gioiello: la monoposto, progettata da Harvey Postletwhaite, era velocissima e
dopo le prime corse, nelle quali l'affidabilità aveva lasciato a desiderare, era
stata perfezionata. A Imola, Villeneuve e Pironi, amici fraterni,
duellarono dal primo all'ultimo giro. Iniziò quasi per gioco. Dai box giunse
l'invito a mantenere le posizioni quando Villeneuve era al comando. Il canadese
rallentò e fu sorpreso dal compagno che lo sorpassò. Iniziò una lotta durissima
con Pironi che tagliò il traguardo per primo. Fu uno sgarbo, la prima avvisaglia
della tragedia. Sul podio Villeneuve teneva il capo chino. Rispondeva agli
applausi della gente quasi controvoglia. Pareva fosse la fine di un sogno.
Il suo.
Gilles da quel giorno non ebbe più pace. La sua amicizia era stata tradita: ora
il suo obiettivo doveva essere quello di stare davanti al compagno. A Zolder,
nell'ultimo turno di prove, Villeneuve, muso lungo, occhi tristi, si lanciò in
pista per migliorare il suo tempo. Compì un giro, poi un altro. Aveva già le
gomme usurate. Uscì velocissimo da un curvone. Ci fu un'incomprensione con il
tedesco Jochen Mass, al volante di una March, e poi l'urto con la Ferrari che
decollò sulle ruote della monoposto inglese.
Fu terribile: Gilles, proiettato all'esterno, compì un lungo volo. L'ultimo. Se
ne andò così, chiudendo un'epoca di cui lui soltanto fu iniziatore ed epigono.
Dopo Villeneuve non ce ne furono altri. È rimasto unico ancora oggi: l'ultima
leggenda, l'ultimo mito.
Fu un'immagine tragica, drammatica, ripetuta in
continuazione dalle televisioni di tutto il mondo. L'8 maggio 1982 Gilles
Villeneuve se ne andò così come era arrivato: uno come lui non poteva morire in
altro modo, quasi quella scomparsa dovesse fissarsi per sempre negli occhi degli
appassionati.
Con lui uscì di scena qualcosa di più di un semplice grande campione, di un
pilota. A Zolder si concluse l'epopea di un conduttore che seppe
attraversare le cronache dello sport per entrare nelle indagini sociologiche,
nei fenomeni di costume. Villeneuve rappresenta, tra gli eroi moderni di questa
disciplina, ciò che Tazio Nuvolari era stato alla sua epoca. Ed è forse
questo il motivo per cui ancor oggi sul pilota canadese non si è spento
l'interesse della gente.