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A metà degli anni '80 in Formula 1 c'erano due
modi di essere brasiliani. Uno era quello mistico, tormentato e nostalgico
di Ayrton Senna e l'altro era quello solare, irriverente e scherzoso,
spruzzato dalla saudade, di Nelson Piquet. Aveva la fama di sciupafemmine (tra i suoi flirt, mai confermati né smentiti, figura anche la principessa Stephanie di Monaco), di indolente e di bontempone (memorabili, negli anni della Williams, gli scherzi in Messico a un Nigel Mansell affetto dalla "maledizione di Montezuma"). Eppure quando questo brasiliano fascinoso e sorridente, amante della battuta salace, pronto alla polemica più cattiva, saliva sulla sua vettura, incantava le folle per maestria, intelligenza e astuzia. Sulla griglia di partenza era l'unico pilota di vertice che scherzava con i giornalisti sull'avvenenza delle donne presenti o che mandava a quel paese con una battuta pepata un intervistatore per la stupidità delle sue domande e poi, in gara, velocissimo, intelligente e mai in difficoltà psicologiche, si imponeva sui rivali. Nelson sembrava un gatto che gioca con il topo. Fu così nel 1981, con un Carlos Reutemann indebolito dalle rivalità interne della Williams, nel 1983, con un Alain Prost allora impetuoso e alla ricerca del primo titolo, nel 1987, con un Nigel Mansell come sempre sprecone e inconcludente. Piquet non ha mai dominato un Campionato mondiale, tutti i suoi titoli li ha vinti all'ultima gara, dimostrando una notevole tenuta psicologica. Durante la stagione i suoi rivali si sfogavano, stravincevano e dominavano, poi, nel corso dell'estate Nelson, che aveva già accumulato una serie di buoni piazzamenti, segnava i punti a suo favore con vittorie belle e difficilmente sofferte fino a presentarsi all'ultima gara pronto per la sfida decisiva. E non l'ha quasi mai persa: l'unica volta che è successo, nel 1986, è stato perché il suo team, la solita Williams sprecona, non ha saputo, oh novità, gestire le rivalità interne. Veloce, astuto e intelligente, queste le sue principali qualità, affinate, nei primi anni di Formula 1, accanto a Niki Lauda. Anche negli anni dei grandi trionfi Nelson Piquet ammetteva senza reticenze gli insegnamenti dell'austriaco: "Lui faceva il suo lavoro, ma io ho avuto la capacità di osservare e di imparare" diceva sottolineando il suo ruolo attivo. Una differenza con il grande Niki? Secondo alcuni Piquet era più veloce, secondo Nelson Niki pensava molto più di lui ai soldi, secondo Niki Nelson era incosciente perché non pensava alla sicurezza, tema sul quale invece lui, dopo l'incidente del Nuerburgring, era diventato molto sensibile. Il primo rivale del pilota brasiliano è stato Alain Prost. Le sane battaglie tra i due sono sempre state corrette e oneste, mai una polemica di troppo, neanche quando, nell'estate del 1983, Alain spedì Nelson sulla sabbia a Zandvoort, in una manovra azzardata che non avrebbe più ripetuto alcuni anni dopo. Un incidente di gara, lo definì Nelson, che allora sembrò dove dire addio al titolo per quel ritiro. Che tempi diversi, però! Il direttore sportivo della Renault corse alla Brabham per scusarsi dell'errore di Prost e lo stesso Alain, che fu costretto al ritiro per le conseguenze di quell'incidente, corsero a scusarsi con il collega. Poi, è cronaca, il titolo andò a Piquet, in un indimenticabile Gran Premio del Sudafrica. Subito dopo apparve la stella di Ayrton Senna Da Silva, il giovane brasiliano predestinato alla vittoria di cui Nelson iniziò a sentire presto la rivalità in patria. Le punzecchiature e le battute cattive su Ayrton non si contano. La più terribile, a parte quella sulla presunta omosessualità di Ayrton, che gli costò il perpetuo rancore del compatriota, è quella detta subito dopo il passaggio dalla Williams alla Lotus: "Vado a mettere a posto la macchina che Senna non ha saputo mai sistemare". Poi la Lotus ha continuato il suo declino mentre Ayrton Senna, negli stessi anni si aggiudicava due titoli mondiali con la McLaren. Dopo l'incidente di Imola Nelson è stato ammirevole nella sua coerenza: non avendo mai amato Ayrton in vita, non è andato, al contrario di molti, al suo funerale "perché non è opportuno". E in quella mancanza di opportunità ha avuto rispetto per la prima volta, del talento del rivale. L'ultima vera rivalità in Formula 1 è stata quella che lo ha separato da Nigel Mansell. Negli anni trascorsi alla Williams il carattere allegro e scherzoso di Nelson divenne più spigoloso e duro. La difficoltà dei rapporti interni, caratteristica del team inglese e accentuata in quel periodo dal drammatico incidente che costrinse Frank Williams su una sedia a rotelle, il timore di veder favorito il compagno di squadra, da lui considerato meno intelligente, e, soprattutto, il "tradimento" del suo contratto di prima guida da parte della Williams, innervosirono profondamente Piquet. La perdita del titolo mondiale 1986, buttato al vento dalla Williams in un rocambolesco Gran Premio d'Australia, che vide il ritiro di entrambe le vetture e vincitore del Campionato, a sorpresa, Alain Prost, fu la goccia che fece traboccare il vaso: il brasiliano decise che non appena fosse stato possibile avrebbe abbandonato la squadra, lasciando Mansell e Williams al loro irrisolto rapporto. Nel 1987 Nelson ebbe uno spaventoso incidente a Imola, alla curva del Tamburello, fatale per il tifo brasiliano. La sagoma della sua vettura rimase per qualche giorno impressa sul muretto della Tamburello, mentre l'Italia intera seguiva affettuosamente le vicende del suo campione non ferrarista più amato. Per precauzione Nelson, che non aveva riportato gravi ferite, fu tenuto in ospedale e saltò il Gran Premio. Poi, ammise alcuni mesi dopo a Suzuka, il fantasma di Imola rovinò le sue notti e gli fece cambiare stile di vita. Nel 1987 un Nelson Piquet ritrovato, ormai conscio della squadra per la quale correva, si divertì davvero come un gatto astuto con un topolino fragile e pasticcione. Vinse il Campionato con sole tre vittorie contro le sei del rivale, ma con un numero di piazzamenti maggiore e una gestione della stagione più intelligente. Quando a Suzuka Mansell, già in pole-position, ebbe il pauroso incidente in prova che gli costò il Mondiale, Nelson non riuscì a nascondere un ghigno un po' diabolico per la stupidità dell'inglese. E in un liberatorio incontro con i giornalisti si sfogò finalmente, raccontando delle paure di Imola e difendendo con foga il suo titolo mondiale. Perché il Campionato lo si vince non nell'ultima gara, ma durante l'intera stagione, sapendo rinunciare al "piede" quando serve la "ragione". E lo si perde andandosi a stampare nelle protezoni di Suzuka quando si hanno in mano Campionato Mondiale e pole-position perché non si sa usare la "ragione". Dopo Suzuka Nelson ritrovò il buonumore, il sorriso e l'irriverente voglia di tirare scherzi. Ha chiuso la carriera alla Benetton, dove avrebbe dovuto "svezzare" un giovanotto che non ha avuto la sua umiltà nell'imparare da un maestro, non è illuminato dalla sua allegria ed era già allora vittima del complesso di superiorità che gli sarebbe costato poi un paio di titoli mondiali. Michael Schumacher, insomma. E' stato l'ultimo pilota amatissimo e popolarissimo durante la sua carriera. Perché questo brasiliano dall'italiano cantilenante sia stato in Italia a volte più amato dei piloti della Ferrari, perché la stampa inglese non si sia mai scatenata contro di lui negli anni della feroce rivalità con Mansell, perché fosse difficile trovare qualcuno che lo detestasse, anche negli anni dei trionfi, quando era più facile odiarlo, è difficile da spiegare. Era un uomo, come è già stato detto, come non ce ne sono più in Formula 1 e di cui è bello sentire sempre nostalgia. Ciao Nelson, e che la vita continui a sorriderti, nel tuo Brasile ritrovato, come in quei fantastici anni '80 in cui eri il volto sorridente e luminoso della Formula 1. di Laura Cardia per Autosportnews
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