Personaggi:
Andretti M. Ascari A. Clark J. Dennis R. Fangio J.M. Ferrari E. Forghieri M. Hamilton L. Hill G. Lauda N. Lotus Mansell N. Moss S. Patrese R. Peterson R. Piquet N. Prost A. Raikkonen K. Rindt J. Schumacher M. Senna A. Stewart J. Villeneuve G. Williams F.
Team storici:
Alfa Romeo B.R.M. Brabham Tyrrell
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A metà degli anni '80 in Formula 1 c'erano due
modi di essere brasiliani. Uno era quello mistico, tormentato e nostalgico
di Ayrton Senna e l'altro era quello solare, irriverente e scherzoso,
spruzzato dalla saudade, di Nelson Piquet.
A metà degli anni '80 Nelson Piquet, che aveva
già vinto due dei suoi tre titoli mondiali (il terzo sarebbe arrivato nel
1987 con la Williams),
era il pilota più amato del
Circus, beniamino dei tifosi di tutto il mondo, più volte trionfatore di
Monza, ogni volta accolto con un entusiasmo e accompagnato sempre da donne bellissime. Lo chiamavano lo "zingaro" della
Formula 1 perché abitava in una bella barca nel porto di Montecarlo, così
da essere sempre pronto a nuove avventure nei porti mediterranei.Si
spostava con un aereo che si era regalato dopo la conquista del secondo
titolo mondiale e che aveva imparato a guidare nell'inverno del 1983 dalle
parti di Reggio Emilia, facendo impazzire le teen-agers della zona.Sosteneva di essere pigro, di amare la compagna del momento e i figli
lontani e di essere gelosissimo della sua vita privata. Era un uomo,
Nelson, come non ce ne sono stati più in Formula 1 e di cui si fa bene ad
avere sempre nostalgia.
Aveva la fama di sciupafemmine (tra i suoi
flirt, mai confermati né smentiti, figura anche la principessa Stephanie
di Monaco), di indolente e di bontempone (memorabili, negli anni della
Williams, gli scherzi in Messico a un Nigel Mansell affetto dalla
"maledizione di Montezuma"). Eppure quando questo brasiliano fascinoso e
sorridente, amante della battuta salace, pronto alla polemica più cattiva,
saliva sulla sua vettura, incantava le folle per maestria, intelligenza e
astuzia. Sulla griglia di partenza era
l'unico pilota di vertice che scherzava con i giornalisti sull'avvenenza
delle donne presenti o che mandava a quel paese con una battuta pepata un
intervistatore per la stupidità delle sue domande e poi, in gara,
velocissimo, intelligente e mai in difficoltà psicologiche, si imponeva
sui rivali. Nelson sembrava un gatto che gioca con il topo. Fu così nel
1981, con un Carlos Reutemann indebolito dalle rivalità interne della
Williams, nel 1983, con un Alain Prost allora impetuoso e alla ricerca del
primo titolo, nel 1987, con un Nigel Mansell come sempre sprecone e
inconcludente. Piquet non ha mai dominato un Campionato mondiale, tutti i
suoi titoli li ha vinti all'ultima gara, dimostrando una notevole tenuta
psicologica. Durante la stagione i suoi rivali si sfogavano, stravincevano
e dominavano, poi, nel corso dell'estate Nelson, che aveva già accumulato
una serie di buoni piazzamenti, segnava i punti a suo favore con vittorie
belle e difficilmente sofferte fino a presentarsi all'ultima gara pronto
per la sfida decisiva. E non l'ha quasi mai persa: l'unica volta che è
successo, nel 1986, è stato perché il suo team, la solita Williams
sprecona, non ha saputo, oh novità, gestire le rivalità interne.
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Veloce, astuto e intelligente,
queste le sue principali qualità, affinate, nei primi anni di Formula 1,
accanto a Niki Lauda. Anche negli anni dei grandi trionfi Nelson Piquet
ammetteva senza reticenze gli insegnamenti dell'austriaco: "Lui faceva il
suo lavoro, ma io ho avuto la capacità di osservare e di imparare" diceva
sottolineando il suo ruolo attivo. Una differenza con il grande Niki?
Secondo alcuni Piquet era più veloce, secondo Nelson Niki pensava molto più di lui
ai soldi, secondo Niki Nelson era incosciente perché non pensava alla
sicurezza, tema sul quale invece lui, dopo l'incidente del Nuerburgring,
era diventato molto sensibile. Il primo rivale del pilota brasiliano è
stato Alain Prost. Le sane battaglie tra i due sono
sempre state corrette e oneste, mai una polemica di troppo, neanche
quando, nell'estate del 1983, Alain spedì Nelson sulla sabbia a Zandvoort,
in una manovra azzardata che non avrebbe più ripetuto alcuni anni dopo. Un
incidente di gara, lo definì Nelson, che allora sembrò dove dire addio al
titolo per quel ritiro. Che tempi diversi, però! Il direttore sportivo
della Renault corse alla Brabham per scusarsi dell'errore di Prost e lo
stesso Alain, che fu costretto al ritiro per le conseguenze di
quell'incidente, corsero a scusarsi con il collega. Poi, è cronaca, il
titolo andò a Piquet, in un indimenticabile Gran Premio del Sudafrica.
Subito dopo apparve la stella di Ayrton Senna Da Silva, il giovane
brasiliano predestinato alla vittoria di cui Nelson iniziò a sentire
presto la rivalità in patria. Le punzecchiature e le battute cattive su
Ayrton non si contano. La più terribile, a parte quella sulla presunta
omosessualità di Ayrton, che gli costò il perpetuo rancore del
compatriota, è quella detta subito dopo il passaggio dalla Williams alla
Lotus: "Vado a mettere a posto la macchina che Senna non ha saputo mai
sistemare". Poi la Lotus ha continuato il suo declino mentre Ayrton Senna,
negli stessi anni si aggiudicava due titoli mondiali con la McLaren. Dopo
l'incidente di Imola Nelson è stato ammirevole nella sua coerenza: non
avendo mai amato Ayrton in vita, non è andato, al contrario di molti, al
suo funerale "perché non è opportuno". E in quella mancanza di opportunità
ha avuto rispetto per la prima volta, del talento del rivale.
L'ultima vera rivalità in Formula 1 è stata
quella che lo ha separato da Nigel Mansell. Negli anni trascorsi alla
Williams il carattere allegro e scherzoso di Nelson divenne più spigoloso
e duro. La difficoltà dei rapporti interni, caratteristica del team
inglese e accentuata in quel periodo dal drammatico incidente che
costrinse Frank Williams su una sedia a rotelle, il timore di veder
favorito il compagno di squadra, da lui considerato meno intelligente, e,
soprattutto, il "tradimento"
del suo contratto di prima guida da parte
della Williams, innervosirono profondamente Piquet. La perdita del titolo
mondiale 1986, buttato al vento dalla Williams in un rocambolesco Gran
Premio d'Australia, che vide il ritiro di entrambe le vetture e vincitore
del Campionato, a sorpresa, Alain Prost, fu la goccia che fece traboccare
il vaso: il brasiliano decise che non appena fosse stato possibile avrebbe
abbandonato la squadra, lasciando Mansell e Williams al loro irrisolto rapporto. Nel 1987 Nelson
ebbe uno spaventoso incidente a Imola, alla curva del Tamburello, fatale
per il tifo brasiliano. La sagoma della sua vettura rimase per qualche
giorno impressa sul muretto della Tamburello, mentre l'Italia intera
seguiva affettuosamente le vicende del suo campione non ferrarista più
amato. Per precauzione Nelson, che non aveva riportato gravi ferite, fu
tenuto in ospedale e saltò il Gran Premio. Poi, ammise alcuni mesi dopo a
Suzuka, il fantasma di Imola rovinò le sue notti e gli fece cambiare stile
di vita. Nel 1987 un Nelson Piquet ritrovato, ormai conscio della squadra
per la quale correva, si divertì davvero come un gatto astuto con un
topolino fragile e pasticcione. Vinse il Campionato con sole tre vittorie
contro le sei del rivale, ma con un numero di piazzamenti maggiore e una
gestione della stagione più intelligente. Quando a Suzuka Mansell, già in
pole-position, ebbe il pauroso incidente in prova che gli costò il
Mondiale, Nelson non riuscì a nascondere un ghigno un po' diabolico per la
stupidità dell'inglese. E in un liberatorio incontro con i giornalisti si
sfogò finalmente, raccontando delle paure di Imola e difendendo con foga
il suo titolo mondiale. Perché il Campionato lo si vince non nell'ultima
gara, ma durante l'intera stagione, sapendo rinunciare al "piede" quando
serve la "ragione". E lo si perde andandosi a stampare nelle protezoni di
Suzuka quando si hanno in mano Campionato Mondiale e pole-position perché
non si sa usare la "ragione". Dopo Suzuka Nelson
ritrovò il buonumore, il sorriso e l'irriverente voglia
di tirare scherzi. Ha chiuso la carriera alla Benetton, dove avrebbe
dovuto "svezzare" un giovanotto che non ha avuto la sua umiltà
nell'imparare da un maestro, non è illuminato dalla sua allegria ed era
già allora vittima del complesso di superiorità che gli sarebbe costato
poi un paio di titoli mondiali. Michael Schumacher, insomma. E' stato
l'ultimo pilota amatissimo e popolarissimo durante la sua carriera. Perché
questo brasiliano dall'italiano cantilenante sia stato in Italia a volte
più amato dei piloti della Ferrari, perché la stampa inglese non si sia
mai scatenata contro di lui negli anni della feroce rivalità con Mansell,
perché fosse difficile trovare qualcuno che lo detestasse, anche negli
anni dei trionfi, quando era più facile odiarlo, è difficile da spiegare.
Era un uomo, come è già stato detto, come non ce ne sono più in Formula 1
e di cui è bello sentire sempre nostalgia. Ciao Nelson, e che la vita
continui a sorriderti, nel tuo Brasile ritrovato, come in quei fantastici
anni '80 in cui eri il volto sorridente e luminoso della Formula 1.
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