I personaggi:
Andretti M. Ascari A. Clark J. Dennis R. Fangio J.M. Ferrari E. Forghieri M. Hamilton L. Hill G. Lauda N. Lotus Mansell N. Moss S. Patrese R. Peterson R. Piquet N. Prost A. Raikkonen K. Rindt J. Schumacher M. Senna A. Stewart J. Villeneuve G. Williams F.
I team storici:
Alfa Romeo B.R.M. Brabham Tyrrell
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Il fiore appassito
GP di
Montecarlo 1960, GP degli Stati Uniti 1987: fra queste due vittorie
conquistate rispettivamente da Stirling Moss e da
Ayrton Senna, c'è la
storia di una delle più grandi scuderie di F.1: la Lotus.
Un team entrato
nella leggenda delle corse, vuoi per i grandi successi ottenuti, vuoi per
aver legato il suo nome a quello di un'altra leggenda della F.1 quale Jim
Clark, vuoi per la figura carismatica e unica nel suo genere quale quella
di Colin Chapman: l'uomo che inventò, appunto, la Lotus. Un nome esotico,
che l'ex pilota della Royal Air Force utilizzava per chiamare
affettuosamente sua moglie Hezel.
Anthony Bruce Colin Chapman nasce a
Richmond il 19 maggio 1928, si laurea in ingegneria, diventa pilota della
RAF per poi passare alla Vauxhall: in questo periodo, il giovanissimo
Chapman matura l'idea di voler creare una propria vettura. Sogno che
realizza nel '48 sulla base di una vecchia Austin Seven: la vettura si
chiama Lotus Mark 1. A questo modello ne seguiranno altri con i quali lo
stesso Chapman partecipa a gare di club, finché, nel '54, viene creato il
Racing Team Lotus: la squadra che da lì a poco comincerà a imporsi
nell'agone internazionale. Sbocco naturale per un geniaccio della
meccanica quale era Colin Chapman è ovviamente la F.1, e il debutto nella
categoria regina delle corse avviene nel GP di Montecarlo del 1958 con una
evoluzione della Lotus 12: i piloti sono Graham Hill e Cliff Allison, ma è
il 1960 l'anno del salto di qualità per la scuderia britannica per due
ragioni: le prime due vittorie iridate con Moss a Montecarlo e
Riverside,
e l'arrivo in squadra di Jim Clark, il profeta che farà diventare grande
la Lotus. Il matrimonio con l'asso scozzese dura fino al 7 aprile 1968,
quando «Big Jim» si schianta contro un albero a Hockenheim in una gara di
F.2. In otto stagioni di corse, Clark e la Lotus erano diventati un
binomio tanto vincente da permettere allo scozzese di accumulare ben 27
vittorie in 72 Gran Premi, oltre a due titoli iridati nel '63 e nel '65 e
una 500 Miglia di Indianapolis, sempre nel '65.
Le tragedie
di Clark e Rindt
La scomparsa di Clark fu un colpo
durissimo per Chapman che era arrivato a cucire letteralmente addosso allo
scozzese le sue monoposto, ma da lì a poco Chapman avrebbe trovato in
Jochen Rindt un pilota in grado di riportare il marchio Lotus ai massimi
livelli. E così avvenne difatti nel 1970, stagione nella quale l'austriaco
infilò cinque vittorie che lo proiettarono in cima al mondiale a quattro
gare dal termine: Gran Premi che non bastarono ai ferraristi Ickx e
Regazzoni, i due più accreditati contendenti dell'alfiere della Lotus, per
strappare un titolo iridato a un pilota che non poteva più difendersi:
Jochen Rindt si era infatti ucciso a Monza nel corso delle prove del
sabato. Ancora una volta, Chapman perdeva un grande pilota, mentre
aumentavano le polemiche contro le sue vetture, identificate ormai
nell'ambiente come eccessivamente pericolose per le esasperate soluzioni
tecniche messe in campo forse con troppa disinvoltura.
A garantire il
titolo iridato a Rindt era stato un giovanissimo pilota: Emerson
Fittipaldi, che sostituendo lo sfortunato austriaco, aveva vinto a Watkins
Glen la sua prima gara iridata, tagliando le gambe alle speranze dei
ferraristi di sopravanzare il leader della classifica. Sul brasiliano
Chapman ricostruì nuovamente la squadra, ottenendo ancora soddisfazione
dal suo incredibile fiuto da talent scout: «Emmo», come sarà poi sempre
chiamato Fittipaldi nell'ambiente, conquisterà infatti il campionato del
mondo 1972. Nella stagione successiva, Emerson sarà nuovamente in lotta
per il titolo contro Jackie Stewart, che alla fine la spunterà provocando
la rottura fra la Lotus e «Emmo» che rimprovererà a Chapman il fatto di
non aver imposto a Peterson, suo compagno di squadra, di aiutarlo
nell'impresa. Così, il nuovo talento della Lotus emigrerà alla McLaren
dove conquisterà nuovamente il campionato, mentre Chapman dovrà attendere
quattro anni per tornare in vetta al mondiale.
Da «Emmo» a Big Mario
Nel '78, infatti, Mario Andretti
riesce a svettare con la sua rivoluzionaria Lotus ad effetto suolo, e
questa volta a farne le spese sarà proprio quel Ronnie Peterson relegato a
ruolo di seconda guida pur essendo palesemente più veloce del compagno di
squadra. Un malumore che sfocierà in una vera tragedia che si consumerà
ancora una volta a Monza, dove l'asso svedese rimarrà coinvolto in una
carambola che gli procurerà fratture multiple che lo porteranno alla morte
con un'embolia verificatasi quando Peterson era ricoverato all'ospedale
milanese del Niguarda. Quello sarà comunque l'ultimo titolo del team di
Chapman: prima di morire in circostanze misteriose nell'82, il fondatore
del fiore esotico della F.1, farà in tempo a salutare a suo modo una
vittoria, saltando sulla linea del traguardo e lanciando in aria il suo
cappellino al passagggio di Elio De Angelis nel Gran Premio d'Austria di
quello stesso anno. Con la scomparsa di Chapman, la Lotus subisce uno
sbandamento cui comunque pone rimedio l'arrivo in squadra di Ayrton
Senna,
che regala al team altre sei vittorie prima di passare alla McLaren. Dopo
la dipartita dell'asso brasiliano, il team entra nuovamente in crisi, una
crisi irreversibile che lo condurrà inesorabilmente verso livelli tanto
bassi da far scappare ogni sponsor. La conseguenza naturale sarà da lì a
poco la chiusura: la Lotus disputerà infatti l'ultimo campionato nella
stagione '94.
2010: il ritorno.
Nel 2010 l'imprenditore malese Tony Fernandes, proprietario del
marchio, riporta in F.1 il marchio Lotus e successivamente, nel 2012, il marchio e i titoli passano all'ex team
Renault ma, malgrado il marchio sia ritornato, la storia del mito Lotus finisce nel 1994.
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