I personaggi:
Andretti M. Ascari A. Clark J. Dennis R. Fangio J.M. Ferrari E. Forghieri M. Hamilton L. Hill G. Lauda N. Lotus Mansell N. Moss S. Patrese R. Peterson R. Piquet N. Prost A. Raikkonen K. Rindt J. Schumacher M. Senna A. Stewart J. Villeneuve G. Williams F.
I team storici:
Alfa Romeo B.R.M. Brabham Tyrrell
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A fare
grande la Casa milanese in F.1 furono gli esordi del campionato del mondo,
quando Farina e Fangio svettarono nelle stagioni '50 e '51. Poi l'Alfa
decise di ritirarsi dalle competizioni della massima categoria,
ripresentandosi in pista nel '76 come fornitore di motori per la Brabham
prima di scendere in campo con un proprio team. Ma più che
successi, la squadra del Biscione accumulò delusioni, fino a cedere il
proprio materiale all'Euroracing e i motori all'Osella: con la scuderia
piemontese, i motori Alfa «girarono» fino all'87
Gli anni più gloriosi dell'Alfa Romeo sono legati alle prime due
stagioni del campionato del mondo di F.1, quando, per due anni di seguito,
Nino Farina prima e Juan Manuel Fangio poi, svettarono nei mondiali '50 e
'51. La prima stagione iridata fu caratterizzata dall'en plein messo a
segno dalla Casa milanese, che vinse tutti i Gran Premi in calendario ad
esclusione di Indianapolis, cui però i team europei non partecipavano.
L'arma formidabile che permise all'Alfa l'exploit del '50, fu la «158»,
meglio nota come «Alfetta», cui seguì la «159» - naturale evoluzione della
macchina campione del mondo - con la quale la Casa del Portello disputò il
mondiale '51. Ma quello fu l'ultimo anno in F.1 dell'Alfa: paga dei
successi ottenuti, la Casa milanese decise infatti di abbandonare le
competizioni per capitalizzare i risultati ottenuti. Una decisione cui
contribuì l'evidente crescita che stava caratterizzando un'altra scuderia:
la Ferrari. Che dimostrò appunto il suo potenziale vincendo il mondiale
'52, e ripetendosi in quello successivo con Ciccio Ascari.
Il ritorno con la «177»
Fino al 1976, non si sentì più
parlare di Alfa Romeo in F.1, finché, in quella stagione appunto, la Casa
del Biscione fornì i suoi dodici cilindri piatti alla Brabham, riuscendo a
spingerla alla vittoria in due occasioni nel '78 con Niki Lauda.
Ma
l'Alfa stava pensando a ben altro che a una sola fornitura motoristica:
nel 1979 debuttò infatti la monoposto siglata «177», dotata di motore
boxer 12 cilindri. A pilotarla fu chiamato Bruno Giacomelli, che l'anno
prima aveva dominato in maniera clamorosa il campionato europeo di F.2 con
la March. Dal Gran Premio d'Italia, al pilota bresciano si affiancò
Vittorio Brambilla. Alla prima vettura seguì la «179» e nell'80 Vittorio
Brambilla venne sostituito da Patrick Depailler, sul quale l'Alfa contava
molto per le sue acclarate doti di collaudatore. I maggiori difetti della
macchina risiedevano in un peso elevato dovuto non solo al telaio, ma
anche a un motore che per esprimere tutta la sua potenza (520 CV a 12.400
giri) aveva bisogno di «bere» molta benzina. Ma Depailler aveva fiducia di
riuscire a sgrezzare la «179» e intensificò i test. In uno di questi, sul
circuito di Hockenheim, in preparazione del Gran Premio di Germania, il
pilota francese uscì però di strada per ragioni che sono rimaste
misteriose (come spesso accade nelle corse) schiantandosi in un terribile
impatto. Giacomelli restò solo, e nel Gran Premio che si disputò nove
giorni dopo, raccolse un quinto posto che, unito allo stesso risultato
ottenuto in Argentina, portò a quattro i punti conquistati dall'Alfa
nell'intera stagione. Sul finire dell'anno, Giacomelli dimostrò quanto
valesse quella vettura, realizzando ottimi tempi in prova e addirittura la
pole position a Watkins Glen: performance che però non trovarono poi
riscontro in corsa.
Dalle delusioni all'Euroracing
C'era quindi da lavorare
sull'affidabilità, partendo da una base di prestazioni ottima: per la
stagione successiva l'Alfa immaginò ben altre situazioni nel mondiale di
quelle che invece si produrranno: Mario Andretti riuscì infatti a
raccogliere solo un quarto posto a Long Beach, per la restante metà della
stagione si accumularono delusioni su delusioni. Alla base c'era anche il
fatto che la «179 C» risentiva più di altre monoposto del divieto delle
«minigonne», una norma che aveva portato i tecnici di Arese a modificare
la conformazione aerodinamica della vettura. Come nell'anno precedente,
anche in questo 1981, Giacomelli riuscì a far alzare nuovamente la testa
all'Alfa proprio sul finire della stagione.
In quella successiva, Andrea
De Cesaris rilevò Mario Andretti, ma la nuova «182» non riuscì a
raccogliere punti fino al Gran Premio di Montecarlo, dove una corsa che
ridotta ad una vera e propria lotteria a causa degli scrosci di pioggia e
delle numerosissime uscite di pista, assegnò al pilota romano il podio con
il terzo posto. Mentre il motore 8 cilindri turbo veniva collaudato sulla
pista del Balocco da Giorgio Francia, Giacomelli e De Cesaris dovevano
combattere col 12 cilindri ormai superato rispetto alle motorizzazioni
turbo della Ferrari e della Renault. Anche il telaio, disegnato da
Ducarouge, non sembrava all'altezza della situazione: la stagione si
chiuse così col decimo posto nel mondiale costruttori, evidenziando una
situazione difficile nel team sia a livello tecnico sia gestionale. In
conseguenza di ciò, Ettore Massacesi, presidente dell'Alfa Romeo, decise
di cedere tutto il materiale all'Euroracing di Pavanello, che avrebbe
potuto contare sulla fornitura dei motori turbo 8 cilindri e
sull'assistenza tecnica dell'Autodelta. L'avventura Alfa sotto queste
insegne proseguì fino all'85, quando si concluse definitivamente, mentre i
motori vennero forniti all'Osella fino al
1987.
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