I personaggi:
Andretti M. Ascari A. Clark J. Dennis R. Fangio J.M. Ferrari E. Forghieri M. Hamilton L. Hill G. Lauda N. Lotus Mansell N. Moss S. Patrese R. Peterson R. Piquet N. Prost A. Raikkonen K. Rindt J. Schumacher M. Senna A. Stewart J. Villeneuve G. Williams F.
I team storici:
Alfa Romeo B.R.M. Brabham Tyrrell
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Era il
1947 quando, grazie anche al contributo di diverse ditte accessoristiche
inglesi, Raymond Mays e Peter Berthon
fondarono la BRM, sigla di
British
Racing Motors. La prima vettura da corsa fu la 16 cilindri a V
sovralimentata con compressore, che però non riuscì a prendere la partenza
nel primo Gran Premio cui partecipò, a Silverstone nel '50, che coincideva
con la prima gara del neonato mondiale di Formula 1. Per vedere una BRM
nel campionato del mondo bisognerà attendere un anno, esattamente fino al
successivo Gran Premio d'Inghilterra: un'unica apparizione prima di un
nuovo stop, che durerà fino al '56, quando la BRM si ripresenterà nello
stesso appuntamento inglese del mondiale. Nella stagione successiva,
saranno invece tre le gare cui parteciperà la Casa inglese che nel
frattempo era stata acquistata nel '53 da Sir Alfred Owen, un ricco
industriale amante delle competizioni.
La gloria arriva con Graham Hill
Il 1958 vide la BRM prendere
parte a tutto il mondiale, ad esclusione del Gran Premio di Argentina che
apriva la stagione. Behra e Schell riuscirono a raccogliere 18 punti,
posizionando il loro team al 4° posto nel neonato mondiale costruttori.
L'anno successivo andò ancora meglio, con Bonnier che regalò alla squadra
il primo successo primeggiando nel Gran Premio d'Olanda. Nel '60, oltre a
Bonnier e a Gurney, la BRM si avvalse anche di un pilota che avrebbe fatto
molto parlare di sè nel futuro: Graham
Hill. Sarà proprio lui, infatti, a
riportare al successo la Casa britannica nel '62: ma il baffuto papà di
Damon, anche lui mondiale nel '96, non solo vincerà lo stesso Gran Premio
d'Olanda conquistato da Bonnier nel '59, ma ripetendosi per altre tre
volte nella stagione, svetterà addirittura nel campionato del mondo. Come
la Ferrari, la BRM aveva il fascino di realizzare tutto, motore compreso,
e quello del '62 era un 8V noto con il nome di «canne d'organo», perché
gli scarichi erano liberi: quattro tubi per bancata rivolti verso l'alto,
a somiglianza appunto di un organo.
Dopo Stewart il declino
Dopo la sinfonia suonata anche grazie a
quel motore da Hill nel '62, la BRM non riuscirà più a ripetere l'exploit
di svettare nei mondiali piloti e costruttori. I tre anni successivi
andarono alla Lotus di Clark e alla Ferrari di Surtees, anche se nel
'64
Hill restò in lizza per il mondiale fino all'ultima gara, quando Lorenzo
Bandini agevolò il compagno di squadra Surtees tamponando proprio la BRM
di Hill. In quegli anni, curiosamente Graham Hill riuscì a vincere i Gran
Premi di Montecarlo e degli Stati Uniti in tutte e tre le stagioni, quasi
che quelle gare fossero sue per diritto acquisito. Nel '65, a dar manforte
a Hill arrivò Jackie Stewart, che si impose nel Gran Premio d'Italia. Per
la nuova formula imposta dalla Federazione, che portava le cilindrate
delle
Formula 1 da 1500 cc a 3000 cc, il progettista Tony Rudd disegnò
un 16 cilindri ad H, un motore complicato e pesante che riuscì a vincere
una sola gara e non con la BRM, ma con la Lotus di Clark. Dal 16 H si
passò presto a un'architettura a 12 cilindri a V: un frazionamento che
diverrà storico per la BRM alla stregua di quello Ferrari. Nel '69, Rudd
lasciò il team e il suo posto fu rilevato da Tony Southgate, che disegnò
la P 153, una macchina che riuscì a vincere alla grande il GP del Belgio
1970 con il forte Pedro Rodriguez, asso anche nelle gare Sport Prototipi
con la Porsche 917. Dalla P153 si passò quindi alla P160, che regalò alla
BRM gli ultimi successi in F.1, grazie alle vittorie ottenute a Zeltweg
(1971) dallo svizzero Jo Siffert (che dominò la gara) e a Monza, sempre
nello stesso anno, da Peter Gethin in una memorabile volata a 5. Nel 1972
la versione P160 B, affidata a Jean Pierre Beltoise, trionfò sotto l'acqua
al GP di Montecarlo davanti alla Ferrari di Jacky Ickx. Da ricordare inoltre
il 1973 che vide le BRM P160E, le prime monoposto di F.1 sponsorizzate
Marlboro fin dalla stagione precedente, affidate tra l'altro ad una coppia
destinata a grandi traguardi: Niki Lauda e Clay Regazzoni. Negli anni
successivi, a Sir Alfred Owen subentrò suo cognato Louis Stanley, che
affittò a diversi piloti le monoposto prima che la gloriosa Casa
britannica chiudesse definitivamente i battenti della sede storica di
Bourne. L'ultimo pilota ad aver portato in gara una BRM fu Larry
Perkins,
che disputò il Gran Premio del Sud Africa del '77
con la P 201.
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