|
|
|
La vettura bianco-blu guidava in quel pomeriggio di primavera sereno e festoso il Gran Premio di San Marino. Dietro di lei, come una minaccia, c'era una Ferrari. Non una Ferrari qualunque, ma "la" Ferrari di quegli anni, la numero 27, che aveva perso il suo eroe l'anno prima, ma che grazie al suo indimenticato alfiere era entrata nel mito. Dunque la vettura bianco-blu precedeva la numero 27 e Imola, che l'anno prima aveva assistito al duello fratricida tra i due ferraristi e li aveva persi entrambi pochi Gran Premi dopo, stava col fiato sospeso. Aspettando quella vittoria, che, sul Santerno, avrebbe "vendicato" il ricordo di Gilles Villeneuve. E chissà cosa sono il destino, l'ansia di rivincita o il dolore. La vettura bianco blu alle Acque Minerali uscì di pista in una fumata di polvere. Dalle tribune le bandiere rosse che animano i circuiti di tutto il mondo, ma che solo a Imola e a Monza sanno essere crudeli e commoventi allo stesso tempo, si alzarono gioiosamente al cielo accompagnate dal boato del pubblico. Patrick Tambay stava onorando la memoria di Gilles Villeneuve. Su un muretto delle Acque Minerali Riccardo Patrese stava assaporando, tra i fischi e lo sventolìo di bandiere rosse, quanto è amaro essere piloti italiani su circuiti ferraristi. Quando penso alla carriera di Riccardo Patrese il ricordo vola sempre a quella giornata di Imola, perché anch'io ho fatto un salto di gioia vedendolo uscire di pista. Perché invece di pensare al trionfo di un pilota italiano esigevo la memoria di un pilota canadese volato via. E' stato "il senso di colpa" di quel pomeriggio romagnolo a render caro alla mia memoria Riccardo Patrese, uno dei migliori e più sottovalutati piloti italiani degli ultimi anni, il decano di tutti i piloti della Formula 1. Le sue 256 presenze sono ancora oggi un record lontano da ogni possibilità di essere battuto. Nella sua lunghissima carriera Rick ha corso per le squadre di serie B e per i top team, distinguendosi sempre per tenacia, velocità e sfortuna. Ha conosciuto la delusione delle promesse non mantenute e l'euforia della vittoria, la crudeltà dei colleghi e il rispetto e la stima dei top manager. Non ci sono imprese epiche né grande fortuna nel passato del ragazzo di Padova. All'inizio della carriera correva per squadre disastrate che ne rendevano difficile la visibilità, ma è riuscito, nonostante tutto, ad affacciarsi alla pole position con la Arrows dei primissimi anni '80. Non ha mai goduto di buona stampa: il suo carattere chiuso, la timidezza e la sfortuna, davvero tanta, tenace e incredibile, gli facevano preferire altri colleghi. E a metà degli anni '80 il pubblico e i media italiani gli preferivano Michele Alboreto, tanto popolare e sopravvalutato perché correva per la Ferrari infelice del dopo-Villeneuve. E poi, quando al termine della carriera, è approdato in un top-team e ha potuto esprimere se stesso e il proprio talento, era in squadra con Nigel Mansell, l'unico pilota che abbia saputo stringere, per qualche arcana ragione, un rapporto di amore e odio tanto intenso con Frank Williams. Ma a leggere bene gli anni di Riccardo Patrese si trova tanta storia della Formula 1 moderna. E ci sono tre momenti indimenticabili, tutti, è nello stile del vecchio Rick, negativi per lui. Sono Monza '78, Imola '83 ed Estoril '92. A Monza Riccardo fu vittima della peggiore vigliaccata che i piloti di Formula 1 e la loro associazione abbiano mai commesso nei confronti di un collega.Ricordo la confusione e l'incidente che coinvolse un numero incredibile di vetture.Il giorno dopo Ronnie Peterson, uno dei piloti più apprezzati di quegli anni, morì all'ospedale Niguarda per le conseguenze di quell'incidente e nel dolore di quella morte il suo Paese, la Svezia, rinunciò alla Formula 1. Riccardo fu accusato dai colleghi di aver innescato l'incidente con una manovra azzardata e fu considerato per gli anni successivi "il colpevole" della morte di Ronnie Peterson. L'associazione Piloti gli impedì di prendere parte al Gran Premio successivo. Patrese aveva allora 24 anni ed era uno dei piloti più giovani della Formula 1. Chissà quanta determinazione, quanta calma e quanta conoscenza di sé, in lui, per non ribellarsi pubblicamente e violentemente, per non denunciare costantemente l'impudenza e la crudeltà di quella esclusione e il trattamento da paria a cui fu sottoposto per anni, prima che Bernie Ecclestone lo chiamasse alla Brabham, facendone un top-driver. Alcuni anni dopo fu poi stabilito che non aveva alcuna responsabilità nella collisione fatale di Monza. Non risulta che alcuno dei colleghi, che tanto male cercarono di fare alla sua immagine e alla sua carriera, si sia scusato con lui. Tra loro, e questo mi dispiace sempre molto, c'era anche Niki Lauda. Di Imola '83 si è già detto: se c'è un momento nero nella storia del tifo ferrarista di questi anni, io lo identifico in quel Riccardo Patrese fermo alle Acque Minerali tra bandiere rosse e pubblico festante, tra fischi e scherno. Ti abbiamo mai chiesto scusa, per quel gesto, Rick? Avrei voluto che la Formula 1, dopo quel giorno, fosse più gentile di te. Dopo i successi con la Brabham (Rick ha vinto il GP di Monaco 1982 e il GP del Sudafrica per il team di Bernie Ecclestone), sono arrivati gli anni bui in Alfa Romeo e di nuovo in Brabham, culminati nella morte di Elio De Angelis, nel 1986, ma caratterizzati sempre dai buoni rapporti con i compagni di squadra, dallo stesso Elio a Eddie Cheever. E poi è arrivata la Williams. Ricordo l'estate del 1987 in cui Frank Williams si divertiva a dribblare i giornalisti italiani, che intuivano l'ingaggio di Rick, e si lasciava scappare, di tanto in tanto, mezze parole per far crescere le aspettative. La Williams stava concludendo l'era Piquet-Mansell e dal 1988 avrebbe ceduto il primato a un'altra mitica coppia, quella di Alain Prost e Ayrton Senna Da Silva sulla McLaren. Era una delle squadre più importanti e più stimate della Formula 1, ma dal 1988 non sarebbe stata la più competitiva. Riccardo fece il suo dovere con onestà, arrivando a vincere alcune gare. Nel 1990 arrivò a prendersi la più bella rivincita della sua carriera, vincendo, in un tripudio di folla finalmente rispettosa e contenta, il Gran Premio di San Marino. Era l'anno del duello Prost su Ferrari-Senna su McLaren, ma il ragazzo di Padova aveva conquistato il rispetto e l'affetto dell'Italia, diventandone il suo più popolare rappresentante in Formula 1. Nella sua felicità Rick fu come sempre misurato e sorridente. Nel 1992 ci fu lo spettacolare incidente dell'Estoril causato da Gerhard Berger, che al fianco di Ayrton Senna, in McLaren, si distinse in varie scorrettezze gratuite. Poco prima dell'ingresso della corsia d'ingresso ai box l'austriaco strinse contro la Williams di Rick. Il contatto fu inevitabile e la vettura dell'italiano decollò esibendosi in varie carambole, prima di andare a cadere a pochi centimetri dal muretto dei box. Come si suol dire, si sfiorò la tragedia. Ma Rick, ragazzo educato e tranquillo, non si esibì in nessuna sceneggiata né pretese la squalifica di Gerhard. Un altro stile, il suo. Non si può dire che la sua carriera abbia subito il declino. Rick ha lasciato al momento giusto. Approdato alla Benetton alla vigilia dell'era Schumacher, a quasi 40 anni, affettuosamente chiamato "il nonno", stimato, rispettato e ancora nel block-notes dei top-manager più importanti, ha preferito lasciare il Circus con i suoi record e la sua lunghissima storia di pilota italiano e per questo non troppo fortunato. Del resto il mito non si allea mai con la fortuna. di Laura Cardia per Autosportnews
|
|