James Hunt, una vita spericolata
Pino Casamassima su
Il 15 giuno 1993 James Hunt fu
trovato morto nella sua casa londinese: ricordarlo significa ripercorrere,
seppur brevemente, una vita spericolata che ebbe il suo momento di gloria
proprio con quella McLaren che oggi, ancora una volta, rappresenta la maggiore
avversaria del Cavallino rampante.
A Parigi, per ricevere il riconoscimento del titolo iridato conquistato, si
presentò in smoking e scarpe da ginnastica, anche se lui avrebbe preferito
andare scalzo, come spesso faceva. Era il 1976,
e James Hunt era il nuovo campione del mondo di F.1: alla fine l'aveva spuntata
su Niki Lauda, beffando con un solo punto di vantaggio, il rinunciatario
ferrarista nell'ultima corsa in Giappone.
Risultato ottenuto con la McLaren, che grazie al fortissimo pilota inglese
conquistava così il suo secondo titolo, dopo quello centrato due anni prima con
Emerson Fittipaldi. Ma la figura di Hunt, più che alla McLaren, resta legata a
quella di Lord Alexander Hesketh, un bizzarro rampollo della nobiltà inglese
innamorato delle auto da corsa.
Dopo aver sponsorizzato la March del debutto in F.1 del suo pupillo, Hesketh
realizzò un proprio team con una propria monoposto: un sodalizio che ebbe a
Zandvoort nel 1975 il suo momento più glorioso con la vittoria nel Gran Premio
d'Olanda: l'unica per il team Hesketh, e la prima delle dieci ottenute da Hunt
nella sua carriera.
Nel 1976, infatti, il pilota inglese accettò la corte della McLaren, alla
quale si legò fino al 1978. L'anno successivo, James passò alla Wolf rimasta
vedova di Scheckter. Ma la scarsa competitività della monoposto convinse Hunt a
maturare la decisione che già da tempo accarezzava: quella di abbandonare le
corse.
Come nel suo stile, James annunciò improvvisamente che quello di Montecarlo
sarebbe stato il suo ultimo Gran Premio: il 27 maggio 1979 si concluse quindi la
carriera di Hunt in F.1. Dopo un tentativo mal riuscito di fare l'agricoltore,
Hunt si diede alle telecronache dei Gran Premi per la BBC e per Eurosport, con
commenti che innescarono spesso polemiche roventi fra i suoi colleghi, spesso
giudicati con troppa disinvoltura dall'ex iridato.
Nel suo mirino finì più volte Patrese: del resto, con il pilota padovano
c'era ancora ruggine per l'episodio monzese del 1978 sfociato nel dramma di
Peterson. Ma ai contrasti, alle prese di posizione, agli atteggiamenti
strafottenti, Hunt era abituato.
La sua esistenza è sempre stata esagerata, a cominciare dal modo di vivere la
F.1, per finire all'uso e all'abuso di fumo, alcol, passando da una vita privata
perlomeno disordinata. E anche la sua morte, avvenuta improvvisamente a 45 anni
per arresto cardiaco, ha suscitato dubbi sull'effettiva causa del decesso.
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