C'era
una volta un vento profumato del Brasile, era un venticello
allegro
che amava giocare con le nuvole e le onde del mare, ma
soprattutto si divertiva
a sfrecciare velocissimo da un posto all'altro; ora
accarezzava le fruscianti
foglie della giungla, e un momento dopo scompigliava i capelli
di una ragazza
che ballava una samba per la via. Solo la sera si calmava, e
andava ad accucciarsi
tra i raggi di una stella. In quei momenti avrebbe tanto voluto
essere un
bambino, per scoprire com'è l'abbraccio di una mamma.
Fu così che un giorno di marzo il Dio-vento divenne un bimbo
paffuto e bellissimo
di nome Ayrton, dai grandi occhi neri sgranati sul mondo. I
genitori e la
sorellina, che lo adoravano, si accorsero subito che aveva
qualcosa di speciale:
era come se nelle sue vene scorresse velocità alla stato puro.
Anche senza accorgersene, Ayrton cercava le stesse emozioni di quando era un
Dio del
vento. La mamma non sapeva se ridere o arrabbiarsi per quel
monello che,
nel provarsi le scarpette, sceglieva sempre quelle che facevano
la scivolata più lunga, e usava il suo carrettino giocattolo per
buttarsi a rotta-di-collo
nelle discese più ripide. Biciclette, automobiline, skate-board,
era sempre
la stessa storia: lui voleva andare più forte, ancora più
forte...
Nemmeno i ragazzi più grandi erano ormai capaci di tenergli
testa, allora
Ayrton si creò un amico invisibile da sfidare: il vento. Del
resto i venti
gli avevano sempre parlato, e in certi momenti lui si sentiva
quasi uno
di loro. E lo era, perbacco se lo era, una guizzante scintilla
divina in
cerca della sua strada. A un certo punto il padre comprese che
le piste
di go-kart, dove lo accompagnava per tutto il Sud America, non
bastavano
più ad Ayrton, ci voleva una magica pista che dal cuore del
Brasile lo portasse
agli estremi confini dell'universo. Così lo lasciò andare,
lasciò che volasse
in Inghilterra, per sbalordire il mondo con un'impressionante
serie di vittorie
nelle categorie minori e misurarsi poi nell'affascinante e
insidiosa F.1.
Può un vento essere imprigionato nell'abitacolo di una
monoposto? No, se
ne stava quieto prima del via, studiando quali fossero le
traiettorie migliori
per essere più veloce, e...vrooom... s'intrufolava subito nel
motore trasmettendogli
forza, potenza, voglia di vincere. Sembrava che al giovane
Ayrton tutto
riuscisse facile, quasi naturale, ma anche gli dei hanno le
loro debolezze.
L'importante era sacrificarsi, riuscendo a trasformarle in nuovi
punti di
forza. Nelle sue scorribande da Dio del vento, Ayrton amava il
sole e la
spuma del mare, raramente si divertiva ad accumulare nuvoloni
neri con cui
inzuppare la gente della terra fra tuoni e lampi. La pioggia era
un elemento
di disturbo per lui, perché rallentava la sua velocità. Continuò
a pensarla
così anche quando da umano correva sui kart, ma decise che
niente al mondo
avrebbe dovuto frenarlo. Così più diluviava, più lui si
allenava, non sentiva né freddo, né stanchezza, pensava solo a domare quell'acqua, a
trasformarla
da nemica in magico scivolo su cui volare verso la vittoria. E
la cosa che
gli riuscì benissimo, tanto che un giorno i giudici dovettero
fermare la
gara per impedire che un ragazzo partito nelle retrovie,
umiliasse tutti
andando a vincere la gara sotto il nubifragio. Ma quel giorno il
mondo s'inchinò
ad Ayrton, incoronandolo "Magic", mago della pioggia. Un
brivido nuovo
percorse tutti, come un vento di felicità.Ne rimase scosso anche
il Professore, perché intuì che non poteva certo dar lezioni di velocità a chi
correva
libero e scanzonato come il vento. Sarebbe stata dura
imbrigliare quel ragazzo,
ma se non ce l'avesse fatta da solo, avrebbe usato manovre
sporche, come
quel giorno. Il Professore correva per un team favoloso, con cui
si sentiva
invincibile, ma i limiti sono fatti per essere oltrepassati e
questo era
il giorno preferito di Ayrton. Più forte, sempre più forte... in
breve Magic,
entrato nello stesso team, divenne campione del mondo, e le
bandiere verde e oro sventolarono festose nel cielo, come quando a gonfiarle
era un giovane
Dio del vento.
La
ricchezza e la gloria possono cambiare il cuore di molti
uomini, non quello puro di Ayrton, che attraverso la velocità
cercava il
Signore di tutti gli universi. L'aveva sfiorato mille volte
nelle sue scorribande
tra le nuvole, senza tuttavia incontrarlo veramente. Gli capitò
un giorno,
proprio quando era in testa all'ingresso di un tunnel. E gli costò
la più superba
delle vittorie, ma ne valse la pena. Cercò di dirlo a tutti, per
portare
gioia, speranza, come faceva da Dio del vento spargendo ovunque
profumo
della primavera. Questa volta però non tutti compresero, anzi
alcuni si
fecero beffa di lui. E una lacrima inumidì le ciglia del timido
vento che
non poteva più rifugiarsi tra le stelle. Più forte, sempre più
forte, Ayrton
correva in modo divino, facendo crepare d'invidia il Professore
e i suoi
fans. Il secondo titolo mondiale si avvicinava, sembrava il
secondo di una
serie infinita, e sarebbe stato bello conquistarlo in Giappone,
una terra
che venerava da sempre il coraggio, la lealtà e il valore degli
eroi. Tuttavia
neanche gli dei possono nulla contro la cattività degli uomini,
e Ayrton
subì un'ingiustizia clamorosa, che per un attimo gli fece venire
voglia
di mollare tutto, tramutarsi in tornado e spazzare via
l'arrogante prepotenza
del Professore e dei suoi amici. Si limitò a tornare dalla sua
famiglia,
tuffandosi nell'abbraccio azzurro del mare per placare la
rabbia. Fu così
che Dio-vento divenne umano anche nel profondo del cuore,
pregustando un
piacere mai conosciuto prima: il piacere della vendetta. Un anno
dopo, nella
stessa pista Giapponese, Magic restituì al Professore lo sgarbo
subito,
e fu chiaro a tutti che era giusto così. Giusto si, ma
certamente poco divino,
Ayrton non si sentiva più leggero e spensierato come quando
sfrecciava per
i sentieri del cielo. A restituirgli il sorriso giunse un
Austriaco maestro
di scherzi, che aveva preso il posto dell'inviperito Professore.
Con lui
in squadra Magic si sentì meno solo, e alla fine di
un'emozionante cavalcata
divenne per la terza volta campione del mondo. Nessun record
sembrava più
precluso, del resto chi può porre limiti al vento?
Già, il vento... A volte
Ayrton sentiva che gli mancava qualcosa, come se non fosse del
tutto libero
di sprigionare la sua velocità. Altre macchine erano divenute
migliori della
sua, correre così era come affrontare un duello disarmato. Cambiare scuderia
divenne indispensabile per tornare a vincere, a sentirsi vivo. E
l'anno
del quarto titolo sarebbe stato indimenticabile anche per la
realizzazione
di un vecchio sogno. Nella sua terra il Dio del vento aveva
visto troppi
bambini abbandonati, vestiti di stracci e raggi di sole, avrebbe
voluto colmarli
di regali, ma non aveva che piume colorate e un aquilone da
donare, con
un dolce fruscio di speranza. Ora invece Ayrton poteva aiutare
certamente
migliaia di quei meninos, e il simbolo del suo progetto era un
monello tenero
e scatenato come lui. Tutto sembrava dunque andare per il
meglio, ma nessuno
conosce le trame del Signore di tutti gli universi. La nuova
macchina si
rivelò per Magic molto più capricciosa del previsto, egli
dovette lottare,
e non poco, come quando tra le nuvole doveva battersi contro la
furia di
mille venti contrari. Venne la primavera, e in Italia accadde
qualcosa d'inaspettato:
un ragazzo, un collega di Ayrton, morì nelle prove di
qualificazione. Magic
ne rimase sconvolto, cercò in tutti i modi di fermare la gara
del giorno
dopo, ma non vi riuscì, e non ebbe la forza di ribellarsi a quel
mondo che
già da tempo lo aveva deluso e disgustato. Pensò allora di
vincere per sventolare
all'arrivo
la bandiera del compagno morto. Balzò subito avanti a tutti,
più forte, ancora più forte... Un attimo, un piantone spezzato,
e un'invisibile
luce che saliva purissima fino al Signore di tutti gli universi.
Fu così
che Ayrton tornò a farsi vento, per sfrecciare libero e leggero
tra le stelle,
cieli immensi e arcobaleni. Più forte, ancora più forte... no,
c'era troppo
dolore sulla terra, troppo sgomento per l'Eroe che tutti
credevano immortale.
Si fermò lieve tra i capelli delle ragazze, sui cappellini dei
bimbi, si
fermò tra le lacrime di sua madre e di tutti i fans e a
ciascuno sembrò
quasi di sentire una carezza insieme a una dolce promessa:
"Sono
il Dio
del vento, non posso lasciarvi, sarò con voi per sempre, per
sempre....".
Orietta Palmucci.